Il sistema di reclutamento dei professori associati e ordinari in Italia legato all’Abilitazione Scientifica Nazionale (ASN) è stato istituito e regolato dall’art. 16 della legge n. 240 del 2010. L’abilitazione è volta a valutare la qualificazione scientifica dei/lle candidati/e costituendo il requisito necessario per l’accesso alla prima e alla seconda fascia dei professori. L’ASN è ad oggi regolata dal D.P.R. n. 95 del 2016, il quale a sua volta rinvia a due Decreti Ministeriali, in cui vengono definiti «criteri, parametri e indicatori di attività scientifica differenziati per funzioni e per settore concorsuale, tenendo presente la specificità dei settori concorsuali, ai fini della valutazione dei candidati» e, dall’altro, di «valori-soglia degli indicatori che devono essere raggiunti per conseguire l’abilitazione» [1]. Questa procedura è stata quindi istituita per valutare il livello dei candidati in modo imparziale, evitando metodi “obsoleti” del passato, quando la produzione scientifica non veniva esaminata con uniformità a livello nazionale. Inizialmente, la validità dell’ASN era di tre anni, prolungata poi fino a undici anni.
Essa sta raggiungendo oggi il tramonto e la fine di un’epoca durata circa quindici anni. La notizia ha sollevato molte riflessioni, da un lato chi è risultato abilitato ma non è riuscito a superare una procedura concorsuale e continua ad essere un precario dell’Università, dall’altro chi non ha ottenuto l’abilitazione e rimane nella stessa posizione in cui si trovava. Purtroppo non sono possibili stime riguardanti la percentuale di coloro che hanno superato la procedura dell’abilitazione, perciò è difficile anche calcolare se questa possa essere interpretata come una tappa all’interno della carriera dell’aspirante professore universitario che viene raggiunta dalla maggior parte di coloro che vi aspirano o se invece si tratta di uno scoglio che solo pochi superano e tra questi avviene poi una ulteriore selezione per l’accesso al ruolo.
In questo contributo verranno presentate alcune riflessioni prendendo come riferimento aspetti normativi e ricerche recenti cercando di rispondere alla domanda: quali cambiamenti porterà l’abolizione dell’ASN? Le statistiche di SCImago,[2] che mostrano gli indicatori di produttività scientifica per nazione e per ambito scientifico fino al 2024, rivelano dati sorprendenti. Gli indicatori considerati per stilare una classifica sono: numero di documenti pubblicati, documenti citabili, citazioni, autocitazioni, citazioni per documento e l’indice H.
Nel settore delle Scienze sociali (educazione, antropologia, comunicazione, sociologia, relazioni internazionali, scienze politiche e altre discipline affini) l’Italia si trova al terzo posto tra i 27 Paesi dell’UE preceduta da Germania e Spagna nel 2024. Prima dell’istituzione dell’ASN prendendo come anno di riferimento il 2011 l’Italia era al quinto posto. Anche nella classifica mondiale si è passati da un decimo posto nel 2011 ad un nono nel 2024. Al di là della posizione in classifica ciò che impressiona sono i numeri che evidenziano un considerevole aumento di produttività scientifica che è notevole anche in altri settori, come ad esempio quello medico [3]. Nel settore medico, il risultato è sorprendente rispetto agli anni in cui l’ASN è stata istituita: l’Italia è passata dal 7º posto (su 217 Paesi) nel 2009 al 6º posto (su 221 Paesi) nel 2014, superando la Francia. Nel 2014, solo gli Stati Uniti, la Cina (salita dal 4º al 2º posto rispetto al 2009), il Regno Unito, la Germania e il Giappone hanno superato l’Italia.
La rilevanza della performance italiana è amplificata da due fattori che contrastano con questo successo. Primo, l’ascesa di Paesi in via di sviluppo come Cina, Corea e India. Tutti i principali Paesi industrializzati hanno perso almeno una posizione in questo periodo, eccetto Stati Uniti, Canada, Australia e Italia. Secondo, tra il 2009 e il 2014, l’Italia ha affrontato una grave crisi economica che ha portato a una riduzione dei finanziamenti alla ricerca. Il sostegno pubblico alla ricerca era, infatti, già il più basso tra i Paesi industrializzati. SCImago consente un confronto diretto per Paese e anno. Se si considera questa tendenza tra i principali Paesi europei, l’Italia ha aumentato la produzione scientifica nel settore medico più di ogni altro paese tra il 2009 e il 2014. L’aumento quantitativo è stato il seguente: Italia 15,7%; Germania 12,5%; Regno Unito 9,9%; e Francia 7,5%. Questo andamento contrasta con quello del prodotto interno lordo e degli investimenti nella ricerca [4].
I finanziamenti pubblici per la ricerca nel 2012 (a metà del periodo considerato), in miliardi di dollari, sono stati: 31 miliardi per la Germania; 19,5 per la Francia; 13 per il Regno Unito e 11,5 per l’Italia. L’Italia ha investito di meno e ha migliorato di più in termini di produzione scientifica. Una possibile interpretazione, personale e discutibile, potrebbe essere il fatto che i cambiamenti nei criteri di accesso alla carriera universitaria possano aver avuto un ruolo. L’aumento della produttività scientifica non necessariamente equivale all’aumento della qualità della produzione scientifica. Tuttavia, le variabili considerate da SCImago (e dalle linee guida ministeriali italiane) sono le stesse prese in considerazione nei concorsi internazionali per il finanziamento della ricerca. Pertanto, questi fattori hanno un valore riconosciuto. L’Italia ha dunque introdotto una rivoluzione che ha prodotto risultati eccellenti, almeno da un punto vista quantitativo.
Altra questione è l’aspetto qualitativo della ricerca che segna, a mio avviso, le sorti dei Paesi. Se da un lato investire in ricerca medico-sanitaria può favorire un prolugamento della speranza di vita e una concreta lotta a sostegno di chi vive la propria esistenza in completa dipendenza dal Sistema Sanitario Nazionale, d’altra parte la ricerca in ambito educativo può contrastare l’abbandono scolastico, migliorare i servizi socio-educativi e favorire l’inclusione delle persone con bisogni educativi speciali, background socio-economici svantaggiati, studenti e studentesse con disabilità. La ricerca in campo socio-antropologico può permetterci di superare pregiudizi, avvicinare le culture, permettere uno scambio reciproco per attraversare confini di genere, etnia o classe, migliorando la società tutta. Questi sono solo alcuni esempi di come fare ricerca, in ambito accademico e non, può contribuire sicuramente alla crescita e al benessere di un paese. Si tratta di un tema delicatissimo che richiederebbe uno studio approfondito e longitudinale in rapporto a fattori economici (ad esempio il PIL), la qualità della vita, la precarietà lavorativa e non meno importante la stabilità politica e la speranza di vita.
Il benessere di ricercatori e ricercatrici dipende anche dal fatto che sono sempre più stretti dalla morsa del famoso motto “publish or perish”, dalle pressioni costanti che la società capitalistica in cui ci troviamo pone nei confronti di chi fa ricerca: portare alla luce dei risultati che siano utili, farlo il più velocemente possibile ma soprattutto fare in modo che tali risultati possano essere valutabili e che contribuiscano appunto alla crescita del paese alla quale poco prima accennavamo. Per i giovani ricercatori, la valutazione della ricerca risulta prevalentemente associata all’ASN piuttosto che alla VQR, che è invece la forma di valutazione per eccellenza della ricerca in Italia. A dimostrare questa affermazione sono le testimonianze presenti in una delle poche ricerche presenti in Italia sull’effetto dell’ASN e sulle performance scientifiche di ricercatori e ricercatrici. Si tratta di un’indagine svolta dall’ Associazione Dottorandi e Dottori di Ricerca in Italia (ADI) dal titolo “L’impatto performativo dell’Abilitazione Scientifica Nazionale: la valutazione della ricerca nell’esperienza di Junior Scholar in Italia” [5].
L’analisi e la valutazione della ricerca in Italia è legata alla nascita dell’Agenzia Nazionale di Valutazione del Sistema Universitario e della Ricerca (ANVUR) in base all’Art. 2, comma 138 e ss., del d.l. n. 262 del 2006. Tra i compiti dell’ANVUR vi è appunto la valutazione, i cui risultati sono poi legati a finanziamenti statali agli enti di ricerca e alle università come previsto dall’Art. 2, comma 139, del d.l. n. 262 del 2006. In questo contesto si delinea la Valutazione della Qualità della Ricerca (VQR) regolata dal Art. 3, comma 2, lett. b, del D.P.R. n. 76 del 2010 che viene effettuata dall’ANVUR, valutando «la qualità dei processi, i risultati e i prodotti delle attività di gestione, formazione, ricerca, ivi compreso il trasferimento tecnologico delle università e degli enti di ricerca, anche con riferimento alle singole strutture dei predetti enti; le predette valutazioni si concludono entro un periodo di 5 anni» (art. 3, comma 1, lett. a).
Si tratta di due forme diverse di valutazione che esemplificando per i non addetti ai lavori potremmo definire: valutare l’istituto di ricerca o valutare il/la singolo/a ricercatrice/ore. Sa da un lato, la VQR valuta le istituzioni, creando attraverso la valutazione di prodotti della ricerca del personale accademico un giudizio complessivo dell’università e degli enti di ricerca, l’ASN valuta direttamente i/le candidati/e che aspirano a entrare in ruolo come professori/esse di prima o seconda fascia. La diversa natura dei soggetti valutati rende l’ASN un passaggio importante i/le giovani accademici. C’è anche una differenza sulle procedure: nel primo caso si effettua una valutazione tramite peer review, nel secondo vi sono dei valori-soglia (numero di libri e articoli pubblicati negli ultimi 5 o 10 anni e altri parametri) che impongono il soddisfacimento di determinati requisiti quantitativi [6].
L’esperienza quotidiana di dottorandi, assegnisti di ricerca e ricercatori a tempo determinato (RTD-A) in Italia mette in luce una tensione strutturale sempre più marcata tra ciò che viene richiesto per il superamento dell’Abilitazione Scientifica Nazionale (ASN) e ciò che, nella percezione degli stessi soggetti coinvolti, rappresenta l’impegno autentico e necessario per diventare buoni ricercatori. Tale discrasia non è soltanto tecnica o procedurale, ma profondamente epistemologica ed etica: essa riflette una concezione della ricerca piegata alle logiche di produttività, che privilegia la quantità e la conformità ai criteri ASN rispetto alla qualità e all’originalità del lavoro scientifico.
In tal senso, l’ASN opera come un dispositivo valutativo altamente performativo, nel senso foucaultiano del termine,[7] in cui la tensione si manifesta lungo più direttrici: da un lato, si registra una pressione sulla quantità delle pubblicazioni, nonostante le condizioni contrattuali dei giovani ricercatori siano frequentemente precarie, brevi e intermittenti; dall’altro, emerge un conflitto tra la necessità di soddisfare criteri bibliometrici o valutativi standardizzati e il desiderio di concentrarsi su pochi lavori di alta qualità, in linea con una visione sostanziale della ricerca come contributo originale e rigoroso al dibattito scientifico.
Questa situazione, già ampiamente documentata nella letteratura internazionale,[8] non fa distinzione netta tra settori bibliometrici e non bibliometrici, indicando come il carattere performativo della valutazione scientifica agisca trasversalmente, modificando le logiche di produzione della conoscenza. Il fenomeno è ulteriormente aggravato da ciò che Kallio et al.[9] descrivono come una trasformazione delle “logiche produttive” nei contesti accademici, ovvero un passaggio da una ricerca orientata alla scoperta e all’approfondimento a una centrata sul raggiungimento di soglie e parametri valutativi. Tale mutamento si inserisce in un più ampio processo di “neo-burocratizzazione” del lavoro intellettuale e creativo [10].
Se da un lato l’introduzione di metriche e requisiti standardizzati rende i processi di valutazione uniformi a livello nazionale, dall’altro c’è il rischio di impoverire l’esperienza soggettiva del lavoro di ricerca, compromettendone non solo la qualità scientifica, ma anche quella esistenziale partendo dal presupposto che fare ricerca sia un mestiere creativo. Come osserva Jaffe[11]la retorica della passione e della vocazione, spesso imposta ai lavoratori creativi, maschera le contraddizioni di un sistema che richiede dedizione totale in cambio di precarietà lavorativa e scarsa retribuzione. Questo porta a un disallineamento morale (disengagement) tra l’identità ricercata dal soggetto, la ricerca che effettivamente conduce e quella che vorrebbe condurre, tanto nel merito quanto nel metodo.
È dunque necessario interrogarsi non solo sugli effetti immediati della valutazione accademica sulla produttività scientifica, ma anche sulle sue implicazioni a lungo termine in termini di sostenibilità della carriera. Le condizioni contrattuali offerte ai giovani ricercatori in Italia, brevi, intermittenti, scarsamente remunerative, generano un meccanismo selettivo che potrebbe (non vi sono ad oggi evidenze scientifiche a riguardo, sarebbe infatti questo un tema di ricerca interessante) che favorisce coloro che dispongono di risorse economiche e supporti esterni per poter affrontare anni di precarietà prima dell’accesso al ruolo [12].
Pertanto, ogni ipotesi di riforma dell’ASN, o più in generale dei sistemi di valutazione della ricerca, non può prescindere da una considerazione olistica delle condizioni strutturali del mercato del lavoro accademico. È fondamentale riflettere sul nesso tra valutazione della produzione scientifica e le condizioni effettive in cui tale produzione avviene: orari di lavoro, stabilità contrattuale, accesso alle risorse, tempo disponibile per la formazione continua e per la partecipazione attiva alle comunità scientifiche. In questa prospettiva, risulta urgente promuovere ricerche empiriche e comparate in grado di analizzare in profondità il modo in cui le metriche valutative incidano sul talent management e sulla capacità del sistema accademico italiano di trattenere e valorizzare le eccellenze. In ambito medico ci sono tra l’altro studiosi e studiose che sostengono che maggiore peso nella valutazione andrebbe dato all’attività didattica e clinica in particolare in ambito chirurgico.[13] Sempre in ambito medico si sono svolte alcune ricerche che si sono occupate delle regolarità delle procedure concorsuali, tema analizzato anche a livello internazionale [14], e dei motivi per cui molti ricercatori dopo un primo periodo in Italia, si spostano poi in altri Paesi europei [ 15].
Solo un approccio integrato che tenga conto delle dimensioni qualitative e umane della vita accademica, oltre che delle esigenze di accountability e trasparenza, può evitare che la valutazione diventi essa stessa un ostacolo al progresso della conoscenza e alla giustizia sociale nel mondo universitario.
L’unica categoria, a mio avviso, che ci permette di riflettere su questo tema così delicato e spinoso, il cambiamento della valutazione dei docenti universitari in Italia, è quella dell’ironia socratica, magistralmente sviscerato da Carletti nel suo volume Il ruolo dell’ironia nella formazione dell’adolescente. Una categoria pedagogica per abitare la complessità edito da Pensa Multimedia nel 2024 [16]. L’ironia può essere intesa non soltanto come una figura retorica, ma come una vera e propria strategia di smascheramento e ricostruzione del pensiero. Essa svolge un ruolo centrale nello sviluppo della consapevolezza critica e nella formazione del soggetto capace di interrogarsi. Fin dai dialoghi platonici, l’ironia appare come uno strumento essenziale per mettere in discussione le conoscenze date per certe, portando chi dialoga a confrontarsi con i propri limiti cognitivi. Secondo Cambi, questa modalità assume un valore duplice: etico, perché implica un atteggiamento di apertura e responsabilità verso la verità; gnoseologico, perché favorisce un sapere che nasce dal dubbio e dalla revisione continua delle proprie convinzioni [17] .
Il potere sovversivo dell’ironia socratica si manifesta nella sua capacità di produrre aporie, ovvero situazioni di impasse concettuale. Socrate, attraverso il dialogo maieutico, guida l’interlocutore alla consapevolezza delle proprie contraddizioni, fino al punto di rottura: l’ammissione del non-sapere. Questo riconoscimento non è un fallimento, bensì un atto fondativo. La crisi epistemica che ne deriva diventa la condizione per l’avvio di un processo conoscitivo più profondo e autentico. L’ironia, in questo senso, non distrugge, ma apre uno spazio di possibilità: rende il sapere un terreno aperto, dinamico, mai chiuso in dogmi.
In un mondo dominato da certezze precostituite e narrazioni dominanti, l’ironia rappresenta un atto di resistenza cognitiva: ci invita a sospendere il giudizio, a domandare prima di affermare, a costruire sapere insieme piuttosto che imporlo. In tal senso, essa non solo educa al pensiero, ma educa eticamente a una cittadinanza più consapevole e dialogica. Il carattere destabilizzante dell’ironia socratica si manifesta pienamente nella sua capacità di generare aporie. Attraverso il dialogo, Socrate conduce sistematicamente i suoi interlocutori a riconoscere le contraddizioni insite nelle loro posizioni, fino alla celebre ammissione: «so di non sapere». Questo momento di crisi cognitiva, rappresenta il primo passo verso una conoscenza più autentica, pur nella consapevolezza dell’inaccessibilità di verità assolute.
Come notato da Cavallo [18] , tale processo maieutico implica un radicale lavoro su sé stessi, un’ascesi intellettuale che richiede l’abbandono di ogni presunzione dogmatica. L’efficacia pedagogica dell’ironia risiede proprio nella sua natura dialettica. La strategia ironica costringe l’interlocutore a portare fino in fondo il proprio ragionamento, smascherando le inconsistenze.
In questa prospettiva, l’ironia si rivela uno strumento privilegiato di quella “scuola del sospetto” che indaga quello che rimane impercettibile in superficie [19]. Tre aspetti meritano particolare attenzione [20] :
1) la funzione decostruttiva, che mette in luce presupposti impliciti e contraddizioni latenti;
2) la valenza trasformativa, che spinge il soggetto a ripensare criticamente le proprie certezze;
3) la dimensione comunitaria, poiché l’ironia fiorisce necessariamente nello spazio dialogico dell’interrogazione reciproca.
La filosofia contemporanea mette oggi in luce il potenziale permanente di questa categoria come strumento di critica ideologica. In entrambi i casi, essa si conferma come pratica indispensabile per quel pensiero autentico che rifiuta ogni forma di sapere precostituito.
Tornando al tema oggetto di questo contributo, l’ironia ha un potenziale di chiarissima, precisa e pungente denuncia da parte del regista italo australiano Sidney Sibilia in “Smetto quando voglio.” E nei successivi “Smetto quando voglio Masterclass” e “Smetto quando voglio Ad Honorem” [21].
L’idea per il soggetto del film è arrivata proprio da un pezzo giornalistico dal titolo “Quei netturbini con la laurea da 110 e lode” pubblicato su Leggo. Quel pezzo, che parlava di due laureati di Roma, con titoli sulle spalle e un lavoro come spazzino, è stato il motore che ha acceso la fantasia del regista, portandolo a realizzare il film che si è tramutato nel primo capitolo di una trilogia. Con questo film Sydney Sibilia dirige una commedia originale e divertente, che non somiglia a niente e che riesce anche a inserirsi con la precisione di un chirurgo in un contesto, quello accademico, dove la precarietà è davvero all’ordine del giorno. Il regista in questo senso è riuscito a miscelare bene l’intento della commedia con uno sguardo affilato all’attualità. [22]
Pietro Zinni (interpretato da Edoardo Leo) è un ricercatore universitario che si trova costantemente a fronteggiare la cronica carenza di finanziamenti erogati dagli organi accademici, i quali ostacolano il progresso dei suoi studi e delle sue scoperte scientifiche. La precarietà della sua situazione economica lo costringe a ricorrere a fonti di reddito marginali, come lezioni private, pur di integrare il proprio sostentamento. In seguito a un ulteriore peggioramento delle sue condizioni finanziarie, Zinni concepisce un piano radicale: recluta un gruppo di studiosi accomunati dalla medesima instabilità lavorativa nonostante i prestigiosi titoli accademici conseguiti. Tra questi figurano due esperti di latino, un chimico, un antropologo, un economista con una passione per il poker e un archeologo. Insieme, elaborano un progetto illecito: la produzione e commercializzazione di una sostanza psicoattiva non regolamentata dal Ministero della Salute. Tuttavia, l’operazione ben presto rivela una serie di criticità che ne minano la sostenibilità. Interessanti sono i dialoghi iniziali di Zinni con il Professore con cui collabora che maldestramente dimostra di non conoscere le ricerche del proprio allievo; il culmine arriva qualche scena dopo quando il professore rivela a Zinni che purtroppo a causa del taglio dei fondi verrà assunto solo un ricercatore su cinque e purtroppo non si tratta di lui. Da qui nasce l’idea di Pietro di organizzare una banda di ricercatori protagonisti della storia, che nell’ultimo capitolo della saga salva l’Italia da un terribile attentato.
La trilogia ha avuto grande successo, forse proprio perchè vengono affrontati in maniera ironica temi molto delicati e spinosi: la difficoltà dei giovani di essere economicamente indipendenti, la precarietà lavorativa, i tagli sempre maggiori alla ricerca, la dilatazione nel tempo di alcune carriere. Proprio nella prospettiva socratica di portare il ragionamento “fino in fondo”, smascherando l’inconsistenza vi è l’idea che non necessariamente cambiando sistema di reclutamento cambieranno tutte le altre condizioni che rendono precario il mondo della ricerca e del lavoro in generale.
A questo punto un lettore attento dovrebbe chiedersi, cosa succederà dopo il commiato con l’ASN? Dal sito del Ministero dell’Università e della Ricerca il commento al Disegno di Legge è il seguente:
«Si supera l’attuale sistema di Abilitazione Scientifica Nazionale, che nel corso di questi anni si è trasformata in una sorta di diritto alla chiamata in ruolo, con un eccessivo allungamento della validità del titolo abilitativo. Non più un presidio di merito e qualità, quindi, ma un elefantiaco processo di selezione indipendente dalla grandezza e dalle specificità del settore scientifico interessato, che nel tempo ha visto aumentare anche i contenziosi. Il nuovo modello prevede l’istituzione di una piattaforma informatica, gestita dal Ministero dell’Università e della Ricerca, attraverso la quale i candidati potranno auto dichiarare il possesso dei requisiti minimi richiesti in termini di produttività e qualificazione scientifica per partecipare ai concorsi. La selezione dei docenti non avverrà più a livello centrale, ma sarà demandata alle singole università. Novità sulla composizione delle Commissioni giudicatrici per il reclutamento dei professori ordinari, associati e dei ricercatori: saranno composte da un membro interno (scelto dall’università) e da membri esterni all’ateneo, selezionati tramite sorteggio tra i docenti disponibili a livello nazionale appartenenti al settore scientifico-disciplinare oggetto del bando. L’intervento normativo si propone di superare alcune criticità del sistema vigente, prima fra tutte la generazione di aspettative nei candidati circa l’automatico accesso ai ruoli universitari, nonostante la norma vigente precisi che l’ASN non conferisca tale diritto. Inoltre, l’attuale meccanismo ha determinato un numero eccessivo di abilitati, non assorbibili dalle università attraverso le ordinarie procedure di chiamata, con conseguenti effetti distorsivi sul sistema di reclutamento e sulla programmazione strategica degli atenei. Il nuovo impianto normativo mira anche a evitare la duplicazione delle procedure valutative: l’attuale sistema prevede infatti una prima valutazione centralizzata, nell’ambito dell’ASN, seguita da una seconda valutazione nell’ambito del concorso per la chiamata nei ruoli di professore di prima o seconda fascia. Per superare i localismi e contribuire alla promozione della mobilità interuniversitaria e internazionale, si prevede una procedura volta a favorire la circolazione del personale già in ruolo. Infine, il disegno di legge prevede che, pur con alcune armonizzazioni, le nuove regole valgano anche per il reclutamento dei ricercatori a tempo determinato» [23].
La Ministra Bernini propone un’analisi attenta dei limiti di questo “dispositivo” di valutazione proponendo un sistema che ha la finalità di promuovere la qualità del sistema universitario italiano, avendo presente in particolare la necessità di renderlo maggiormente accessibile agli studiosi più giovani, semplificando le procedure, rafforzando l’autonomia dei singoli Atenei, introducendo al contempo norme che ne affermano in modo significativo la responsabilità per le scelte compiute in sede di reclutamento. Inoltre c’è l’intento di aumentare le procedure di mobilità che hanno cristallizzato un localismo di cui non può giovarsi il sistema accademico. Non ci saranno commissioni ma sarà probabilmente l’IA che comunicherà ai candidati e alle candidate l’idoneità o meno ai requisiti richiesti. L’eventuale sostituzione delle commissioni dell’Abilitazione Scientifica Nazionale (ASN) con un sistema basato sull’intelligenza artificiale solleva questioni di notevole rilievo. Tra i principali vantaggi, si possono annoverare la rapidità e l’imparzialità del processo valutativo, nonché una maggiore trasparenza se gli algoritmi utilizzati fossero pubblici e verificabili. Tuttavia, emergono anche significativi elementi critici: la valutazione del merito accademico richiede spesso una lettura qualitativa e contestuale della produzione scientifica, che difficilmente può essere pienamente automatizzata. Inoltre, l’assenza di interlocuzione con una commissione umana potrebbe ridurre la percezione di legittimità e di equità del processo, rischiando di alimentare sfiducia nel sistema. Un utilizzo dell’IA andrebbe quindi attentamente regolato e affiancato da forme di supervisione umana. Il dialogo, le occasioni e gli spazi di confronto e di incontro come quello messo a disposizione dalla rivista Dialoghi Mediterranei che ospita questo contributo, sono preziose trame attraverso le quali tessere il dibattito per un futuro più equo, che dia spazio al cambiamento e alle future generazioni.
Per dirla con le parole di un personaggio di un celebre romanzo siciliano di Tomasi di Lampedusa: “Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi”.
Dialoghi Mediterranei, n. 74, luglio 2025
Note
[1] Decreto che ha modificato la prima regolamentazione dell’ASN recata dal D.P.R. n. 22 del 2011. Art. 4 del D.P.R. n. 95 del 2016; i due decreti ministeriali vigenti sono il d.m. n. 589 del 2018 e il d.m. n. 120 del 2016.
[2] https://www.scimagojr.com/index.php
[3] Carta, M.G., Why has scientific productivity increased in Italy? The Lancet, Volume 386, Issue 10009, 2143 – 2144.
[4] Ibidem.
[5] Associazione Dottorandi e Dottori di Ricerca in Italia, Valutazione della ricerca: dai progetti agli effetti. L’impatto performativo dell’Abilitazione Scientifica Nazionale: la valutazione della ricerca nell’esperienza di Junior Scholar in Italia, Quaderni di sociologia 95 – LXVIII | 2024 p. 187-198 https://doi.org/10.4000/13lbm.
[6] D.m. n. 17 del 15 luglio 2011 (per la VQR 2004-2010), il d.m. n 458 del 27 giugno 2015 (per la VQR 2011-2014), il d.m. n. 1110 del 29 novembre 2019 (per la VQR 2015-2019) e, ora, il d.m. n. 998 del 1 agosto 2023 (per la VQR 2020-2024).
[7] Foucault, M. (1977). Sorvegliare e punire. Torino: Einaudi.
[8] CPetersen, C. Currie, J., Higher Education Restructuring and Academic Freedom in Hong Kong October 2008Policy Futures in Education 6(5) DOI:10.2304/pfie.2008.6.5.589
[9] Kallio, K.-M., Kallio, T. J., Tienari, J., & Hyvönen, T. (2015). Ethos at stake: Performance management and academic work in universities. Human Relations, 69(3), 685–709. https://doi.org/10.1177/0018726715596802
[10] Coin, F., Giorgi, A., Murgia, A., (2017). In/disciplinate: soggettività precarie nell’università italiana, Venezia: Ca Foscari publishingorris
[11] Jaffe, S. (2021). Work Won’t Love You Back: How Devotion to Our Jobs Keeps Us Exploited, Exhausted, and Alone. Bold Type Books.
[12] Coin, F., Giorgi, A., Murgia, A., (2017). In/disciplinate: cit.
[13] Di Cataldo, A., Latino, R. & La Greca, G. Critical questions in the evaluation of scientific production for the “Abilitazione scientifica nazionale” (ASN) for academic enrollment in italy. Updates Surg 76, 1125–1126 (2024). https://doi.org/10.1007/s13304-024-01896-2; Picciariello A, Dezi A (2023) Altomare DF: undeserved authorship in surgical research: an underestimated bias with potential side effects on academic careers. Updates in Surg 75:1807–1810
[14] Grilli J, Allesina S (2017) Last name analysis of mobility, gender imbalance, and nepotism across academic systems. PNAS 114:7600–7605 Hamann J (2019) The making of professors: assessment and recognition in academic recruitment. Soc Stud Sci 49:919–941 Henningsson M, Geschwind L (2021) Recruitment of academic staff: An institutional logics perspective. Higher Educ Q 76:48–62 Laland KN (2022) Racism in academia, and why the ‘little things’ matter. Nature 584:653–654
[15] Gallina, P., Lolli, F., Gallo, O. et al. Italian academic system disregards scientific merit in faculty hiring processes. Int J Educ Integr 19, 24 (2023). https://doi.org/10.1007/s40979-023-00145-0.
[16] Carletti, C. Il ruolo dell’ironia nella formazione dell’adolescente. Una categoria pedagogica per abitare la complessità, Lecce: Pensa Multimedia, 2024.
[17] Cambi, F. (2006). Abitare il disincanto. Una pedagogia per il postmoderno. Novara: Utet Università.
[18] Cavallo, S. (2017). Ironia: un fenomeno retorico nel contesto didattico. Collectanea Philologica, (20), 137-151. https://doi.org/ 10.187
78/1733-0319.20.11
[19] Mariani, A. (2008). La decostruzione in pedagogia. Roma: Armando.
[20] Carletti, C. Il ruolo dell’ironia nella formazione dell’adolescente. Cit.
[21] Rispettivamente nelle sale nel 2014 e 2017, diretti da Sidney Sibilia, prodotti da Matteo Rovere e Domenico Procacci.
[22] Smetto quando voglio, il segreto dietro al successo del film con Edoardo Leo, Il Giornale, https://www.ilgiornale.it/news/cinema/smetto-quando-voglio-segreto-dietro-successo-film-edoardo-2138363.html
[23] https://www.mur.gov.it/it/news/lunedi-19052025/universita-ok-cdm-riforma-reclutamento-docenti
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Riferimenti normativi
Art. 4 del D.P.R. n. 95 del 2016 (modifica del D.P.R. n. 22 del 2011 sulla regolamentazione ASN)
D.M. n. 17 del 15 luglio 2011 (VQR 2004–2010)
D.M. n. 458 del 27 giugno 2015 (VQR 2011–2014)
D.M. n. 1110 del 29 novembre 2019 (VQR 2015–2019)
D.M. n. 998 del 1 agosto 2023 (VQR 2020–2024)
D.M. n. 589 del 2018
D.M. n. 120 del 2016
Link utili
https://www.mur.gov.it/it/news/lunedi-19052025/universita-ok-cdm-riforma-reclutamento-docenti
https://www.roars.it/perche-aboliamo-lasn-la-relazione-illustrativa-del-governo/
https://www.scimagojr.com/index.php
https://www.ilgiornale.it/news/cinema/smetto-quando-voglio-segreto-dietro-successo-film-edoardo-2138363.html
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Sabina Leoncini, è assegnista di ricerca e docente a contratto presso Unisi (M-PED01); laureata in antropologia, è Dottore di Ricerca in Scienze della Formazione. I suoi principali ambiti di interesse sono: il concetto di cura, la rieducazione in carcere, la parità di genere e l’inclusione sociale. Si è occupata dell’educazione mista in Israele/Palestina e del significato socio-culturale del muro che separa Israele e Cisgiordania. Ha collaborato con alcune Università straniere tra le quali l’università Ebraica di Gerusalemme (HUJI), l’Istituto Universitario Europeo (EUI) di Fiesole, l’Università Ludwig Maximilian (LMU) di Monaco. Ha usufruito di varie borse di studio (MAE, DAAD) e partecipato a progetti ministeriali tra cui PON. Ha insegnato Filosofia e Scienze umane nei Licei e si occupa di progetti europei da diversi anni, in particolare all’interno del programma Erasmus Plus e Horizon. Dal 2023 è socia dell’Associazione Pantagruel per i diritti dei detenuti.
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